giovedì 6 agosto 2015

I TUOI OCCHI SU DI ME


 






I TUOI OCCHI SU DI ME


La prima volta era accaduto per caso. 

Lavoravo alle sue dipendenze da circa un anno e, come ogni mattina, ero intenta a eseguire la rigida e ripetitiva routine che anticipava la sua uscita di casa.
Andava a correre tutti i giorni, non importava che piovesse, nevicasse o facesse un caldo insopportabile, lui usciva di casa alle 5.30 e tornava un’ora dopo.
Appena rientrato si recava in cucina, dove io lo aspettavo con un educato sorriso dipinto in viso e il caffè nero bollente pronto.

“Buongiorno Isabella”, mi salutava sempre così, mentre prendeva posto al tavolo apparecchiato per una persona.

“Buongiorno, signore”, avevo risposto io di rimando, seguendo il nostro solito canovaccio, “il caffè è pronto. Cose le servo per accompagnarlo?”

“Cosa abbiamo di buono?”

“Torta ai lamponi o biscotti al burro di Antoine”.

“Prenderò i biscotti", aveva detto e poi, un istante dopo cambiando argomento, aveva aggiunto: "Isabella... oggi indosserò il completo blu di Gucci, quello scuro, non quello chiaro. Camicia bianca e gemelli in platino di Cartier, grazie”.

Quel grazie significava che avevo tempo mezz’ora per salire nella cabina armadi, prendere ciò che aveva elencato, stirare la camicia, anche se era già perfetta, e riporre il tutto nel camerino in cui si vestiva, accanto al bagno in cui andava a fare la doccia dopo la colazione.

Quella mattina tutto si era svolto come sempre. 
Avevo appena appeso gli abiti ai ganci in ottone del suo camerino, quando avevo sentito un suono.
Era tanto che non sentivo un suono del genere, anche perché era tanto che non facevo l’attività che di solito causava un suono del genere.

Un. suono. del. genere.

Avevo lasciato Jacob subito dopo aver trovato questo impiego. Vorrei poter dire che le ragioni fossero altre, vorrei poter dire che lui mi tradiva o che avevamo avuto gravi problemi di coppia.
Ma non era così.
Era stata l’attrazione che sentivo per il mio nuovo datore di lavoro ad avermi impedito di portare avanti la tiepida relazione che avevo con lui.

Malgrado, dunque, io non facessi sesso da mesi, il suono che avevo udito era inequivocabile. 
Ero rimasta immobile e poco dopo avevo sentito un altro suono simile.
Mi ero voltata e avevo notato la porta del bagno leggermente dischiusa. 
Ero rimasta paralizzata per qualche secondo.
Non mi fraintendete, non ero scioccata o in preda alla vergogna, e lasciate che vi dica una cosa: non avevo accettato questo lavoro solo perché ben pagato, l’avevo accettato soprattutto per lui. 
E sempre a causa sua, nei mesi che avevano seguito la mia assunzione, avevo smesso di cercare altri impieghi che mi permettessero di mettere a frutto la mia laurea in letteratura inglese.
Insomma se il soggetto a cui prestavo i miei servizi non fosse stato chi era, o meglio, se non fosse stato com’era, avrei levato le tende molto presto. 
Edward Cullen era infatti l’uomo più attraente che avessi mai visto. E non parlo soltanto di uomini incontrati di persona, parlo anche di quelli esposti su riviste di moda e attori pagati milioni di dollari.

Lui era decisamente meglio.

Un banale colloquio di lavoro per un impiego altrettanto banale e il mio mondo aveva fatto un giro di trecentosessanta gradi. 
Mi ero immediatamente dimenticata di Keats, Yeats, Shakespeare e di tutti i miei piccoli sogni di gloria. 
L’idea di lavorare per lui era diventata improvvisamente molto appetibile e quando avevo ottenuto il posto mi ero sentita realmente al settimo cielo. 

Che volete che vi dica? Sono una donna con gli ormoni fuori controllo.

Dopo qualche mese mi era stato offerto un contratto temporaneo in una scuola media come sostituta di un’insegnante in maternità. 
Stavo per accettare, più per dovere e buon senso che per convinzione, ma lui aveva immediatamente fatto una controproposta in denaro che non avevo potuto rifiutare o, forse, erano stati il suo sguardo e il suo profumo, nel momento in cui mi pregava di non lasciarlo, a convincermi.
Il fatto è che dall’istante in cui avevo posato gli occhi su di lui ero come soggiogata da uno strano incantesimo e se vi sembra incredibile è solo perché non lo avete mai visto. 

Ma sto divagando.

Dicevo, dunque, di quei rumori e di quella porta leggermente aperta. 
Non avevo saputo resistere, anzi, non avevo voluto. 
Era l’occasione che sognavo da mesi. 
Mi ero avvicinata e avevo fatto attenzione a non toccare il battente. 
Per una meravigliosa legge della percezione visiva io lo vedevo benissimo ma lui non poteva vedere me.

Era nudo.
In posizione frontale.
Una mano avviluppata intorno al sesso eretto. 
Un sesso che anche da quella distanza si distingueva perfettamente viste le dimensioni e la consistenza.
Insomma, se non si fosse capito, molto grosso, molto duro e molto spesso.

Il più bel cazzo del pianeta, in sintesi.

Mi era scappato un gemito e, subito dopo, i suoi movimenti si erano fermati. 
Era rimasto immobile, sotto l’acqua che scendeva copiosa lungo le linee perfettamente disegnate del suo corpo e che rendeva quella visione ancora più erotica.
Il suo languido sguardo chiaro si era spostato verso la porta, verso di me, e per un istante avevo temuto che avesse capito che ero lì, nascosta a spiarlo.
Poi, però, aveva ripreso a pompare la sua meravigliosa asta turgida.
I miei occhi incollati ai suoi movimenti sempre più impazienti, sempre più veloci. 
Lui aveva iniziato a gemere. In risposta le mie ginocchia avevano tremato e il bisogno di toccarmi si era fatto insopportabile. 
Eccitata come mai lo ero stata in vita mia, mi ero infilata una mano nelle mutandine continuando a fissarlo.
I suoi occhi si erano fatti scuri di lussuria, aveva sussurrato qualcosa, aveva chiuso le palpebre, lasciato cadere la testa all’indietro e aveva schizzato fiotti di piacere sulla vetrata trasparente che ci divideva.
Io ero corsa in camera mia a finire ciò che avevo iniziato e, sdraiata sul mio letto, ero venuta gemendo il suo nome.

Come ho detto, la prima volta era accaduto per caso.

Quelle successive invece...

Da quella mattina mi ero trasformata in una voyeurista della peggior specie.
Quando lasciava la porta socchiusa lo spiavo, quando invece la chiudeva bene, la aprivo io e... lo spiavo. 
Non sempre si masturbava; a volte, si lavava e basta ma lo faceva con tale grazia ed eleganza mascoline da farmi godere esattamente come quando si toccava con altro intento. 
A dire la verità avrebbe potuto stare anche immobile sotto quel getto d’acqua e io avrei avuto un orgasmo comunque.

Questa cosa era andata avanti per un paio di mesi, fino al giorno in cui avevo ricevuto la lettera con la quale venivo informata d’avere vinto un concorso molto importante. 
Una cattedra in una scuola superiore, un istituto cattolico privato per ragazzine di buona famiglia, un lavoro a cui non potevo proprio rinunciare e che sarebbe iniziato la settimana successiva.

Quella mattina il signor Cullen era tornato dalla solita corsa e aveva ordinato la torta di ciliegie.
Dopo averlo servito, invece di andarmene a stirare la sua camicia, mi ero fermata dicendogli che dovevo parlargli con urgenza.
Lui aveva alzato lo sguardo dal Times, che sempre leggeva mentre faceva colazione, e mi aveva chiesto, con educazione, se la cosa non potesse aspettare la sera. 
In mano tenevo la lettera di dimissioni e in gola un groppo che quasi mi impediva di parlare.

“Ci vorrà solo un minuto, signore”, avevo risposto, porgendogli la busta, senza riuscire a guardarlo negli occhi.
Lui aveva appoggiato da un lato la piccola forchetta d’argento che teneva in mano, aveva afferrato la lettera, l’aveva letta, ed era  poi rimasto in silenzio per minuti lunghissimi.
Alla fine, non sopportando più quella tensione, avevo parlato io: ”È un lavoro a cui non posso rinunciare. Me ne vado a malincuore, signore, mi creda, ma ho studiato molto per laurearmi e quello è il posto che sogno da sempre”.

Si era alzato da tavola e mi aveva sollevato il viso con un dito, obbligandomi a guardarlo negli occhi da vicino. 
Le sue labbra, già naturalmente rosse, grazie al succo di ciliegia che le aveva bagnate, avevano preso un colore sanguigno. L’istinto di morderle era stato quasi impossibile da controllare.

“Capisco, Isabella”, aveva sussurrato vicino alla mia bocca. 

Poi mi aveva fissata con un’intensità da spezzarmi il fiato.

“Ora vado a farmi la doccia".

Si era alla fine alzato e aveva abbandonato la cucina, senza finire la colazione, lasciandomi di sasso.
Non aveva speso una parola nel commentare il fatto che me ne sarei andata. 
Ero interdetta e delusa. Avrei voluto che tentasse almeno di trattenermi, che dicesse qualcosa, che mi confortasse, che mi incoraggiasse. 
Invece niente.
Eppure, come la malata che ero diventata, gli ero andata dietro subito dopo. Nemmeno avevo pensato alla camicia. Ero corsa immediatamente verso il bagno.

La porta era completamente spalancata. Che diavolo...

Forse aveva deciso di saltare anche la doccia, alla fine.
Eppure l’acqua scorreva.
Stavo per uscire dalla stanza, incapace di guardare dentro il bagno questa volta, quando avevo sentito la sua voce.

“Isabella...”

Oh.

“Puoi entrare, se vuoi”, aveva continuato, “so che sei lì, come ogni mattina.”

Oh. Cazzo.

Avrei voluto scappare, andare in camera, preparare la valigia, correre via e non dovere affrontare la vergogna d’essere stata scoperta, ma i miei piedi la pensavano in modo diverso e, passo dopo passo, mi avevano portato davanti all’uscio del bagno.
Cullen era nudo, sotto l’acqua, e con il suo glorioso cazzo in mano. 
Esattamente come quella prima mattina.
Si stava masturbando e mi stava fissando come se stesse fottendo me e non la sua mano.

Oh.

“Spogliati”, aveva ordinato.

“Cosa?”

“Ho forse balbettato, Isabella? Ho detto ‘spogliati’ ”.

“No, io...” 

Aveva sorriso malizioso, mentre continuava a pompare lento la sua erezione, poi si era avvicinato al vetro trasparente.

“Davvero non vuoi unirti a me?”

“Non credo che...”

Era uscito dalla doccia.
Si era avvicinato lentamente, come un felino che punta la sua preda. 
L’acqua continuava a scendere copiosa sul suo viso, lungo il suo corpo, fino al suolo, bagnando il pavimento.
Le sue labbra erano ancora rosse come il sangue e mi era venuto spontaneo chiedermi se sapessero ancora di ciliegia.
Avevo indietreggiato, ma lui era scattato improvvisamente, chiudendo la porta dietro di me e intrappolandomi contro di essa.
Aveva appoggiato le sue mani al mio petto, bagnando la camicetta leggera che indossavo, rendendola trasparente, poi era risalito con le dita fino al collo e aveva afferrato il lembi di quell’inutile indumento. 
Mi aveva fissata come a sfidarmi, come a darmi la possibilità di fermarlo. 
Io invece avevo chiuso gli occhi, avevo coperto i suoi dorsi con i miei palmi, avevo afferrato le sue mani e avevo strappato, con uno strattone violento, tutti i bottoni.
Il secondo dopo mi ero aggrappata ai suoi capelli fradici e lo l’avevo baciato con aggressività, riuscendo finalmente a mordere quelle labbra rosse e polpose, come sognavo di fare da mesi.
Da quell'istante era stato un insieme frenetico e confuso di azioni convulse, gemiti strozzati, movimenti nervosi e ordini ansimati.
Lui aveva tirato giù la zip della mia gonna e io avevo lanciato le mie scarpe in un angolo. 
Lui mi aveva sfilato le mutandine, io avevo strappato il mio reggiseno.
Lui mi aveva presa in braccio ordinandomi di avvolgere le gambe intorno alla sua vita. Io avevo obbedito, come la brava assistente che ero, iniziando nel contempo a leccare la sua giugulare tesa e gonfia.
Un gemito strangolato era sfuggito alle sue labbra quando si era trovato con la punta gonfia del suo sesso appoggiato alle mie labbra calde e bagnate e il mio grido acuto di piacere aveva spezzato il suono dei nostri respiri affannati quando mi aveva schiantata contro le piastrelle tiepide della doccia e mi era entrato dentro con la prima spinta. 

“Tutto questo l’ho sognato per mesi. Ogni fottutissima mattina, Isabella”, alla fine aveva parlato, strizzandomi le natiche al ritmo delle sue spinte, senza alcuna grazia, duro e determinato a godere dentro di me.
“Ho sognato le tue gambe così, attorno alla mia vita e il tuo sesso stretto, bagnato, caldo...”, mi aveva baciato con passione, poi mi aveva lasciata scivolare a terra, solo per riafferrarmi dai fianchi e voltarmi faccia la muro.
D’istinto avevo appoggiato i palmi sulle piastrelle lisce e mi ero inarcata.
L’acqua che scrosciava sui miei lombi e lungo le natiche aumentava il piacere che già era quasi insopportabile. 
Con una mano aperta mi aveva avvolto il collo, obbligandomi a portare la testa all’indietro, con l’altra mi aveva afferrato un fianco.
Poi mi aveva penetrata di nuovo, così, da dietro, permettendomi, in questa posizione, di sentirlo tutto, fino in fondo, mentre mi apriva in due a ogni lenta spinta.
“Ho sognato di te anche così, il tuo culo, la tua schiena, i tuoi capelli bagnati e il tuo collo delicato tra le mie mani. Alla mia mercè. 
Sapevo che sarebbe stato incredibile. Sapevo che ti saresti incastrata perfettamente a me.”
Le sue spinte si erano fatte progressivamente più potenti, decise, così intense da farmi perdere l’equilibrio. 
Lui mi aveva afferrato con mestiere per i fianchi, baciandomi lungo la spina dorsale, mentre affondava veloce e duro, e gemeva il mio nome con la testa tra le mie scapole
Avevo chiuso gli occhi incapace di prolungare ancora l’attesa e mi ero lasciata travolgere dall’orgasmo più violento che avessi mai provato. 
Qualche istante dopo avevo registrato vagamente una catena di profanità uscire dalla sua bocca e poi l’avevo sentito pulsare denso e caldo sulle mie natiche.
“Cazzo... lo sapevo...”, aveva ansimato ancora. 
Poi mi aveva voltata con delicatezza, mi aveva preso il viso tra le mani e mi aveva baciata dolcemente, sotto l’acqua che continuava a scorrere. 
Mi girava la testa per l’intensità di tutte quelle sensazioni, stavano per cedermi le gambe e il cuore premeva per schizzare fuori dal petto.

“Accetto le tue dimissioni, Isabella...”, aveva detto poi così, all'improvviso, in quel momento, spezzando l'incantesimo tra noi e un poco anche il mio cuore.

“Ce... certo signore.. Grazie..."

“Ma tu continuerai a vivere qui...”

“Cosa?”

“Fammi finire”.

“Si, signore”.

“Abbiamo già sprecato abbastanza tempo, non credi?”
Avevo deglutito e annuito, mentre lui mi fissava senza mollare il mio sguardo, con occhi sinceri e onesti.
Improvvisamente dolci.
“Ti ho desiderata dal momento in cui ti ho vista. E da quando lavori per me non ho più avuto una donna, nemmeno una compagna occasionale...", aveva chiuso gli occhi e poi aveva fatto un respiro profondo, "so che non ha senso, non lo ha nemmeno per me, ma credo d’essermi poi innamorato di te. È successo poco per volta, giorno dopo giorno, sempre di più. Mi dispiace non essere stato abbastanza forte da avvicinarti e confessartelo."

“Perché non lo ha fatto?”

“Eri fidanzata, no?”

“Si, ma l’ho lasciato parecchi mesi fa”, ero interdetta perché pensavo non sapesse di Jacob.

“Dovevi dirmelo, non lo sapevo”.

“Non pensavo le interessasse...”

Aveva alzato un sopracciglio e ad esso aveva unito un sorriso pieno, sexy e divertito: “Credo si possa lasciare perdere il “Lei” a questo punto, no? Abbiamo appena fatto l'amore contro il muro di questa doccia...” 
Mi aveva accarezzato i senti delicatamente e si era appoggiato a me con il suo sesso ora morbido.
Avevo abbassato lo sguardo, rossa per l’imbarazzo. 
Più che fare l'amore, avevamo appena scopato senza tanti fronzoli eppure mi veniva ancora naturale rivolgermi a lui con rispetto e atteggiamento formale.

“Guardami, Isabella!” 

Avevo obbedito e i suoi occhi caldi si erano leggermente adombrati: “Avrei dovuto dirti che mi interessavi, è vero, ma dopo quella mattina in cui ho capito che eri dietro la porta e mi guardavi mentre mi toccavo e godevi nel farlo... non so come spiegarlo...”

“Miseria...”

“Miseria sì...”, aveva riso lui, cancellando con il suono melodioso della sua voce l’imbarazzo che provavo, “ogni volta mi dicevo che avrei chiuso il nostro gioco, poi me ne mancava il coraggio, non potevo rinunciare a te, anche se erano solo i tuoi occhi su di me...”, si era appoggiato di nuovo contro di me e mi aveva baciata ancora.

“Lo senti cosa mi fai? Cosa ho dovuto sopportare per mesi e mesi?”

Lo diceva lui a me? Davvero?

L’avevo guardato con occhi ferini, eccitati e carichi di desiderio.
Era tutto chiaro nella mia testa, il nostro passato, il nostro futuro e soprattutto il nostro presente.
Non dovevamo più rinunciare a niente. La fantasia si era fatta realtà e la potevamo vivere come meglio credevamo.
Senza staccare i miei occhi dai suoi mi ero messa in ginocchio di fronte a lui 

“Mi permetta di farmi perdonare, signore”, avevo sussurrato con voce mielosa.

L’acqua scorreva su di noi, su di me, sul suo sesso che era di nuovo duro e pronto. 

La sua mano mi aveva afferrata per i capelli. 

I suoi occhi nuovamente scuri come carboni ardenti.

“Te lo permetto, Isabella”.

L’avevo preso in bocca, lentamente, tutto, pronta a servirlo ancora. 

Pronta a servirlo per sempre.

TRUFFATI DALL'AMORE




TRUFFATI DALL’AMORE



«Va bene, ma se non fosse così?»
«Sul serio. Non capisco dove vuoi arrivare.»
«Dico solo che non credo che tu sia tanto irresistibile quanto credi.»
«Non ho mai detto di esserlo. Ho soltanto affermato che non ho mai conosciuto una donna che non sia stata ben più che felice di venire a letto con me.»
«E che nessuna ti resiste.»
«Solo perché sinora non è ancora successo.»
«Sei uno sbruffone. Non puoi aver scopato tutte le donne che hai conosciuto. Se fosse così avresti delle grosse difficoltà a camminare per strada e Forks sarebbe un posto molto pericoloso per girare indisturbato con tutte le pazze che la popolano.»
«Perché credi che torni tanto raramente a casa?»
«Sei un cazzone!»
Jacob Black guardò il suo amico di sempre, compatendolo. Sapeva che non stava inventando frottole per vantarsi, aveva davvero ogni donna desiderasse, ma questo l’aveva reso indifferente alla bellezza, ai sorrisi, alle carezze, alle tenerezze tra amanti, alle risate e ai mille piccoli gesti che le coppie si scambiano continuamente. Si stava inaridendo e a lui piangeva il cuore ogni volta che ci pensava. Erano cresciuti insieme, si volevano bene; probabilmente era l’essere umano che Edward amava di più al mondo, se si escludevano i membri della sua famiglia. Per questo aveva deciso di agire, di provare a sistemare le cose in modo che anche lui potesse godere delle gioie dell’amore.
Aveva dovuto bluffare un po’ e ingannare lui e colei che, ne era certo, fosse la sua metà perfetta ma, se il risultato fosse stato quello sperato, tutto si sarebbe sistemato per il meglio.
Jacob finse di guardarsi intorno con indifferenza. Si trovavano alla spiaggia della riserva dei Quileute, uno dei posti più belli del creato per come la vedeva lui, anche se restava freddino pur essendo piena estate. Entrambi amavano quel posto, facevano il possibile per tornarci spesso… almeno Jacob, Edward tendeva a restare lontano più a lungo proprio per evitare le donne del posto, la maggior parte delle quali si erano appartate con lui al liceo. Gli occhi di Jacob si fermarono puntando lo sguardo su una giovane donna che usciva dall’acqua.
«Quella te la sei fatta?»
Edward si voltò a guardare nella direzione indicata dall’amico. Gli si bloccò il respiro alla vista di quella donna che con grazia ed eleganza si dirigeva alla riva. La maggior parte delle persone erano goffe e incespicavano tra le onde, invece lei avanzava lenta e sinuosa come una venere mora che emergeva dall’oceano. Inghiottì il groppo che aveva in gola riuscendo a fingere indifferenza.
«Chi? La turista bruna. Mi sopravvaluti, amico mio. Neanche io posso scoparmi ogni donna dello stato.»
Jacob scoppiò a ridere per il patetico tentativo dell’amico. Poteva anche modulare la voce come più gli piaceva, non per niente era un ottimo avvocato, ma non poteva niente contro la mezza erezione che sfoggiava senza vergogna dal momento stesso in cui aveva posato gli occhi sulla donna.
«Quella non è una turista, cretino. È Isabella Swan.»
Edward strabuzzò gli occhi incredulo. «Quella è la piccola Bella? La figlia dello sceriffo?»
«Già, proprio lei.»
Jacob si godette il momento di smarrimento dell’amico e fu come vedergli sulla testa un fumetto nel quale si chiedeva che fine avesse fatto la ragazzina un po’ goffa che frequentava il liceo con loro, la stessa piccoletta sempre carina con tutti, ma notoriamente off limits per qualunque essere dotato di pene.
Edward, in effetti, si stava facendo esattamente quelle domande. Era fuori discussione che la piccoletta fosse cambiata radicalmente col passare del tempo, tanto che non l’aveva riconosciuta con quei capelli lunghi appesantiti dall’acqua e soprattutto quelle gambe lunghe e toniche e quel seno pieno. L’aveva sempre vista piuttosto infagottata e niente lasciava immaginare una tale metamorfosi. In ogni caso aveva sempre evitatola maggior parte dei contatti con lei, essere figlia dello sceriffo non dava margine di movimento e lui non aveva tempo da perdere a coltivare amicizie con le ragazze all’epoca; non che le cose fossero cambiate poi molto negli anni.
Quando si riscosse dal suo peregrinare in tempi passati notò lo sguardo soddisfatto del suo amico. Ci mancava solo che si leccasse i baffi come un gatto soddisfatto.
«Beh, quella non se l’è fatta nessuno.»
«Forse al liceo, ma sono passati dieci anni da allora, dubito che gli uomini si facciano ancora intimorire dalla figura paterna come facevamo noi da adolescenti. Senza tralasciare il fatto che varrebbe la pena rischiare un pallino sulla chiappa per stare con una così.»
«Il mio culo ha un solo buco e non ci tengo ad aumentarne il numero, e poi credo che la minaccia all’epoca fosse rivolta alle palle non alle chiappe.»
«In realtà si alternava in base all’umore dello sceriffo.»
«Comunque non mi interessa. Sono in vacanza e voglio passare questi giorni in tranquillità, non ho bisogno di nuove conquiste.»
Jacob stava perdendo le speranze, pensava che il solo vederla avrebbe innescato in Edward la modalità “caccia aperta”, ma sembrava non funzionare. Decise di giocarsi l’ultima carta. Incrociando le dita gli rise in faccia ancora una volta.
«Lo sapevo, sei un pallone gonfiato. Sei solo chiacchiere e distintivo, solo chiacchiere e distintivo.»
«Sei serio? Citi Al Capone per spingermi a scopare una tipa che non vediamo da dieci anni?»
«Non solo Al Capone, caro il mio amico di sempre, cito il più grande Robert di tutti i tempi. Niente a che vedere con quello sbarbatello che tentano di far passare per grande attore. È bravino, non lo nego, però non può competere con l’imperatore, al massimo può essere un principe. Re con un po’ di impegno.»
«Di chi parli?
«Ma sì, dai. Quello che muore praticamente in ogni film.»
«Ah, il tipo che nessun buon padre lascerebbe solo in macchina con la figlia? Cazzo, a quel tipo non gli si può affidare una limo che la trasforma in un bordello. Però non è male, ho visto qualche suo film e non credo che sia solo un bel faccino e poi fa impazzire le ragazze e mi dicono continuamente che gli assomiglio, quindi mi va di culo.»
«E ti pareva! Come se non scopassi abbastanza senza somigliare a un divo del cinema. Non c’è giustizia in questo mondo.»
«Allora aspetta il prossimo. Magari ti va meglio. E comunque non mi sembra che tu soffra di astinenza da sesso.»
«In effetti non posso darti torto, ma stai cambiando argomento. Sei bravo come avvocato, ma io ti conosco da quando ancora non ti sapevi cosa fosse una sega, quindi non mi abbindoli con le tue manovre evasive e la tua voce profonda. In ogni caso ho capito: te la fai sotto con la piccola Isabella.»
«Non me la faccio sotto, sono in vacanza e voglio rilassarmi.»
«Che strano, la maggior parte delle persone approfittano delle vacanze per scopare il più possibile, tu le usi per riposare l’uccello. Hai ragione, però, dubito che potresti riuscirci con lei.»
«Non ho detto che non posso.»
Ottimo, stava cuocendo per benino. «Sì, sì ho capito, sei in vacanza e vaccate varie. E poi non è affatto detto che ti basti volerlo per portartela a letto.»
«Va bene, stronzo. Visto che hai deciso di rompermi le palle guarda e impara, magari ti risparmi qualche sega in futuro.»
«Non ci riuscirai, Isabella non è come le altre.»
«È una donna» gli rispose Edward beffardo, come se quella parola racchiudesse il segreto del proprio successo. Come se quelle cinque, semplici lettere bastassero a regalargli la vittoria sull’amico.
Jacob sghignazzò senza ritegno. Fingeva di non dar credito alle parole di Edward ma, in realtà, tentava di soffocare l’amarezza che gli scaturiva dalle parole dell’amico. Incrociò mentalmente le dita sperando che ciò che aveva organizzato portasse la felicità nelle vite dei due perché Isabella, tanto quanto Edward, aveva bisogno di trovare l’amore e riempire in quel modo la sua vita, fatta prevalentemente di lavoro.
«Vediamo dunque, grande conquistatore.»
«Tieniti pronto per andare a pranzo, non ci metterò tanto.»
«Sarò qui ad attenderti, mio eroe» gli disse, sbattendo le ciglia come una dama d’altri tempi.
Edward si allontanò mugugnando uno “stronzo” a mezza bocca.
«Oh, Edward?» L’amico si voltò infastidito, guardandolo senza parole. «Anche se va contro la mia possibilità di dimostrare che non sei irresistibile voglio darti un consiglio.»
«Ossia?»
«Non chiamarla Bella. Lo detesta, non permette a nessuno di chiamarla così dai tempi del liceo.
«E tu lo sapresti perché…?»
«Sei tu quello che non passa mai di qua. Io ci torno spesso, non ho mai perso i contatti con lei e poi vive e lavora a Seattle, come noi.»
«E perché non ne sapevo niente?»
«Perché quando io mi vedo con lei tu hai sempre qualche scopata in programma.»
«Se me ne avessi parlato avrei anche potuto farne a meno per passare un po’ di tempo col mio migliore amico.»
«E provare a scoparti anche l’unica donna sotto i sessanta di Forks che ancora non ti eri portato a letto.»
«Presto, amico mio. Presto.»
Edward riprese a camminare verso la ragazza mentre Jacob spostava l’attenzione su Isabella che, come concordato, si era fermata in prossimità della riva. Più la guardava più si convinceva che fosse l’unica in grado di far cambiare vita a Edward. Era bella, sì, ma anche forte e decisa quanto dolce e amorevole. Davvero incantevole con quel bikini azzurro cielo, l’acqua che le lambiva le gambe e il sole a illuminarle i capelli che sotto i raggi tendevano al rosso. Sorrideva mentre lanciava una palla a due bambini in riva che la rimandavano indietro tra le sue mani.
Il poveretto non aveva speranze.
Edward si avvicinò alla ragazza con la sua eterna aria arrogante e presuntuosa, sapeva di non essere indifferente alle donne e giocava continuamente su quel fattore. La figlia dello sceriffo non sarebbe stata un’eccezione e Jacob avrebbe smesso di rompergli le palle e si sarebbe messo l’anima in pace.
Non ne avevano mai parlato ma lui sapeva che, secondo il suo migliore amico, la sua vita era priva di quelle emozioni che solo l’amore vero poteva donare. Pfff! Chi aveva bisogno di quelle stronzate quando poteva scopare quando e chi voleva?
Jacob era diverso, lui sognava di sistemarsi, formare una famiglia vera con tanto di marmocchi al seguito e forse aveva trovato la donna giusta con cui realizzare quel sogno che rincorreva sin da piccolo.
Edward no, lui aveva visto e continuava a vedere coppie che si separavano nel peggiore dei modi. Ogni giorno incontrava donne col cuore spezzato da mariti fedifraghi, occhi gonfi e rossi di lacrime, che tentavano di mantenere un contegno per il tempo che passavano negli uffici dello studio in cui lavorava. E vedeva altrettanti uomini distrutti dal dolore di aver perso quello che Jacob cercava tanto alacremente; non presentavano gli stessi occhi rossi delle donne, ma guardandoci dentro non si trovava niente, nessuna luce, nessun sentimento, solo il vuoto più assoluto. Per non parlare di quelle coppie che si insultavano per tutto il tempo, che si rinfacciavano gli anni trascorsi insieme, le rinunce, i sacrifici che avevano compiuto l’uno per l’altra. E poi c’erano quelli che, con una calma disarmante, si spartivano freddamente ogni singolo oggetto messo insieme nella vita coniugale e decidevano a tavolino cosa o quanto spettava in più dell’altro a chi si prendeva la responsabilità dei figli.
No, Edward non sarebbe mai arrivato a quel punto. Per nessuna ragione al mondo. Non esisteva una donna che valesse un simile tormento.
In compenso c’erano tante donne disponibili e disposte a scopare senza impegno e Isabella non si sarebbe dimostrata differente dalle altre, nonostante il visetto pulito e lo sguardo amorevole verso quei piccoli rompipalle che continuavano a lanciarle le palla.
Si avvicinò con nuova baldanza e l’apostrofò semplicemente: «Ciao.»
La ragazza si voltò perdendo il sorriso. «Prego?»
«Ciao» ripeté lui allargando il sorriso, chiedendosi se l’influenza dello scorbutico sceriffo avesse leso le facoltà mentali e di socializzazione della ragazza.
«Ci conosciamo?» fece lei in risposta.
Edward finse un dolore improvviso portandosi una mano al petto e atteggiando il viso in una smorfia drammatica. «Non puoi esserti dimenticata di me. Mi spezzi il cuore.»
Lei sollevò appena un sopracciglio senza accennare il minimo sorriso. Sì, doveva aver ereditato il gene dell’antipatia dal padre.
In una qualunque altra situazione, con la stessa reazione da parte di una donna, avrebbe girato i tacchi e cercato soddisfazione altrove - non che la cosa fosse mai capitata, ovvio -, ma lì ne andava del suo onore. Jacob non l’avrebbe smessa per anni di sfotterlo se si fosse arreso alla prima difficoltà e fosse tornato indietro con la coda tra le gambe. Non si diede per vinto.
«Sono Edward. Edward Cullen.»
«Edward Cullen? Sì, mi pare di ricordare vagamente questo nome. Hai frequentato il liceo di Forks?»
Va bene, doveva ammetterlo, il suo ego ne stava risentendo parecchio, ma era vero che era passato tanto tempo, una persona poteva dimenticarsi di un ragazzo conosciuto, o meglio non conosciuto, dieci anni prima.
«Proprio così, Isabella. Forse tu non ti ricordi di me, ma io ti conosco molto bene.»
Senza perdere l’aria infastidita, ma anzi accentuandola, lei mosse leggermente la testa di lato guardandolo negli occhi.
«Se mi conoscessi, non molto bene come affermi ma solo leggermente, sapresti che non amo essere chiamata Isabella. Ho ribadito più e più volte con chiunque che preferisco Bella. È più probabile che tu mi confonda con qualcun’altra che casualmente mi somiglia.»
Edward, forse per la prima volta da… sempre, sentì le guance andare a fuoco. Si voltò per incenerire il suo amico con lo sguardo e lo vide godersi lo spettacolo della sua disfatta da poca distanza, da dove senza dubbio aveva sentito ogni parola. Pensò di vedergli sul viso un’espressione colpevole, invece gli strizzò un occhio muovendo appena le spalle come a voler dire “Ops, forse mi sono sbagliato”. Stronzo!
«Ora devi scusarmi» riprese a dire Bella quando riportò lo sguardo a lei, «ma temo che la temperatura dell’acqua sia troppo bassa anche in piena stagione per stare a mollo tanto tempo, come potrai notare» gli disse abbassando gli occhi sul proprio petto che mostrava i capezzoli turgidi, svettanti sotto il leggero tessuto del costume. Con questo si voltò e si diresse poco distante, sdraiandosi sulla pancia a godersi il sole. Per un momento a Edward parve di vedere le labbra della ragazza muoversi in un mormorio continuo, ma la rabbia lo convinse che fosse uno scherzo della sua mente alterata.
Dopo aver lanciato un’altra occhiata assassina a Jacob si diresse al largo, immergendosi nell’acqua fredda per stancarsi abbastanza dal desistere dal desiderio di far fuori quello stronzo che se la rideva dalla riva.
Restò in acqua a lungo muovendo braccia e gambe in perfetta sincronia.
Bella arrivò al suo asciugamano mentalmente provata. Aveva voluto assecondare la richiesta di Jacob, convinta che dopo tutti quegli anni Edward Cullen non le facesse più l’effetto che aveva su di lei al liceo.
Illusa!
Come era possibile che fosse ancora più bello di allora? Perché non aveva messo su pancia? Si sarebbe accontentata anche di un principio di calvizie, invece niente. Nessun difetto - a parte la solita boria che si portava dietro, probabilmente dalla culla -, solo meraviglia compressa in un unico corpo.
Avrebbe ucciso Jacob Black. Avrebbe strozzato quel suo collo taurino a mani nude.
«Non preoccuparti, Bella» citò borbottando tra sé, intonando una pessima imitazione della voce calda e bassa del suo amico. «È la tua occasione, Bella. Potrai dimostrare a te stessa di non essere più la ragazzina goffa del liceo… e poi potrai sbattergli in faccia che non è tanto irresistibile come crede… e potrai vantarti di non essere caduta tra le braccia di Edward Cullen come una pera cotta… e potrai ridere in faccia alle ochette di Forks e… e… e vaffanculo, Jacob.»
L’aveva convinta che sarebbe stato un gioco da bambini imbrogliarlo, che non si sarebbe mai accorto che fingeva indifferenza, invece era stato sufficiente stargli accanto perché il suo corpo la tradisse esponendo i suoi seni davanti agli occhi del ragazzo. Altro che freddo! Avrebbe preferito immergersi di nuovo nell’acqua e raffreddare quella traditrice che aveva tra le gambe. Ma lei aveva una missione, cantilenò nella sua testa, doveva dimostrare che il cielo non era azzurro, che l’acqua non era bagnata e che Edward Cullen non fosse sexy come il peccato.
Un gran cazzo!
Era irresistibile, eccome se lo era. Certo non aveva aiutato notare la semierezione che sfoggiava sotto il costume - a proposito di gran cazzi. Per fortuna non indossava uno di quegli slip striminziti che mettono in evidenza ogni millimetro di carne o gli sarebbe saltata addosso. E pensare che aveva sempre pensato che quel tipo di costume fosse di uno squallore unico!
Era ancora stupita dall’essere riuscita a mantenere quell’espressione impassibile. Dopotutto, gli anni passati a celare le proprie emozioni a un padre che capiva ogni persona con uno sguardo erano serviti. All’epoca non poteva fargli intuire quanto detestasse essere la figlia dello sceriffo, che tutta la popolazione maschile, etero e sotto i sessanta, si tenesse a distanza da lei, col risultato che non aveva visto l’ombra di una scopata se non al primo anno di college. E per fortuna c’era stato Embry a sfidare la sorte pur di palparle le tette e limonare con lei… almeno finché lo sceriffo era venuto a conoscenza delle loro attività extracurriculari e l’aveva avvicinato minacciando di togliergli ogni possibilità di essere padre un giorno. Amava suo padre, ma aveva odiato ogni singolo giorno trascorso vicino a lui e lontano delle sue sacrosante esperienze sessuali.
Si mise seduta fingendo di spalmarsi la crema sul corpo mentre scrutava con attenzione l’acqua in cerca dell’uomo che l’aveva ossessionata per anni. Spostò lo sguardo per incrociare quello di Jacob che stava placidamente disteso su un telo e la guardava con un grande sorriso sulle labbra. Lui sollevò il pollice, lei il dito medio, facendolo scoppiare a ridere.
Individuò Edward tra un fluttuo e l’altro. Sembrava che non riuscisse a trovare pace. Andava sotto, si muoveva con veloci bracciate avanti e indietro, tornava giù, riemergeva spostando l’acqua e i capelli dal viso con un colpo secco della testa.
E lei stava boccheggiando, cazzo!
Aveva bisogno di tornare in acqua, raffreddare il corpo oppure allontanarsi dalla riva e da quei graziosi bambini e dare sollievo alla propria passera in fiamme.
Fanculo, Cullen. Continua a nuotare all’infinito, il mio compito l’ho assolto. Tu non sei un dono di Dio alle donne e io mi godo la vacanza.
Peccato che la sua idea di godimento fosse ben differente da un tuffetto nell’oceano. Spalmarsi sul corpo forte e bagnato di Edward, per esempio, sarebbe stato più rappresentativo dei suoi desideri.
Si alzò dirigendosi in acqua.
Edward riemerse per prendere fiato, ma un attimo prima di immergersi ancora vide Isabella avvicinarsi alla riva. Forse sarebbe tornata a farsi lanciare la palla da quei marmocchi. Cosa c’era di tanto divertente nel giocare con quegli esserini inutili non lo capiva, ma se a lei piaceva… tanti auguri.
Era arrabbiato e infastidito. Gli aveva fatto fare la figura del cretino con Jacob, non che potesse saperlo ma la cosa non cambiava.
Ormai non era più per la sfida che gli aveva lanciato l’amico, era diventata una questione di principio e d’orgoglio. Doveva scoparsela. L’avrebbe fatta urlare di piacere e le avrebbe dimostrato quanto poteva essere fantastico a letto e dopo non l’avrebbe mai più dimenticato. Poco ma sicuro. E poi lo eccitava come non gli era mai successo nella vita.
Continuò a guardarla abbandonare la riva, dirigendosi dalla parte opposta alla sua. Non l’avrebbe permesso. Prese un lungo respiro prima di immergersi e raggiungerla senza essere visto. Le toccò il polpaccio sott’acqua prima di riemergere davanti ai suoi occhi. Bella fece un salto indietro portandosi una mano al petto, spaventata.
«Ma sei pazzo?»
«Ciao» le rispose lui.
«Non abbiamo già avuto questa conversazione?»
«Mi pare di ricordarla vagamente, ma non è stata soddisfacente dal mio punto di vista» le disse senza mai perdere il sorriso strafottente.
«Ma non mi dire! Sono sicura che se ti guardi intorno troverai parecchie ragazze pronte a rendere lo scambio di opinioni molto più interessante.»
Non poteva stargli tanto vicina a lungo senza cominciare a sbavare o ansimare in modo vergognoso. Doveva convincerlo di non essere interessata e allontanarsi al più presto o avrebbe perso la faccia con Jacob… e la dignità.
«Mi sono guardato intorno per tanto tempo e ho capito che l’unica che voglio continuare a guardare sei tu.» E, sorprendendo anche se stesso, si accorse di non mentire. C’era qualcosa in quella donna che lo intrigava oltre ogni dire. Forse avrebbe dovuto darle retta e trovarsi un’altra oppure tornare all’idea iniziale e stare tranquillo per il resto della vacanza, invece era lì, davanti a lei e non intendeva darsi per vinto.
«Senti, Edward, io non…»
«Ho voglia di baciarti, Isabella. Non ho mai desiderato baciare una donna quanto desidero farlo con te» la interruppe lui, guardandola serio negli occhi.
Lei annaspò in cerca di qualcosa, qualunque cosa che le impedisse di gettarsi tra le sue braccia. «Bella» puntualizzò non volendo ammettere quanto il suo nome risultasse eccitante sulle labbra di Edward.
«No, non Bella. Isabella. Bella è un nome carino per una ragazza carina, ma poteva andare bene al liceo. Adesso sei una donna, una bellissima donna con un nome da adulta, sensuale, eccitante…»
E il tentativo di Bella di mantenere un contegno andò a farsi fottere, lasciandola tremante e non per la temperatura dell’acqua.
«Vuoi baciarmi? Se non lo vuoi temo dovrai dirmelo entro i prossimi cinque secondi perché non credo di poter resistere oltre lontano dalle tua labbra.»
Erano talmente vicini che il fiato di lui si infranse sul viso di lei, mandando a puttane qualunque speranza avesse mai avuto di resistergli.
Bastò un minimo movimento per annullare la distanza tra loro e unirli in un bacio che li lasciò tremanti e con l’unico desiderio di trovarsi lontani da lì, in una grande stanza con un letto, o in una stanza anche piccola con un grande letto, oppure che si fottesse il letto purché fosse presente una superficie qualunque dove poter scopare… cioè fare sesso… fare l’amore… ma che cazzo! A nessuno dei due fregava niente della semantica se potevano raggiungere l’obiettivo comune. L’avrebbero raggiunto. Presto.
Edward era andato in spiaggia col suo migliore amico per passare qualche ora senza pensieri e responsabilità e si era fatto fregare da Jacob.
Bella era andata nella stessa spiaggia col chiaro intento di dare una lezione a Edward Cullen, prendersi la sua rivalsa sull’adolescenza di merda che aveva passato, desiderandolo da lontano, invidiando tutte quelle ragazze senza materia grigia che si portava in ogni angolo a disposizione. Non aveva dato una lezione a Edward ma… si era fatta fregare da Jacob.
Come guidati da una forza suprema, si separarono stringendo gli occhi. Insieme si voltarono verso la riva e videro Jacob che li salutava muovendo appena le dita di una mano, sorridendo felice.
«Stronzo» sibilarono insieme per poi scoppiare a ridere e riprendere da dove avevano lasciato.
L’acqua li avvolgeva lenta e calma, li cullava col suo movimento perpetuo accogliendo e accompagnando i lievi movimenti dei loro bacini, specialmente dopo che Bella avvolse le gambe alla vita di Edward. Dovevano fermarsi prima di dare scandalo, ma quel bacio li aveva travolti, lasciandoli senza speranza, con la sola certezza che non sarebbero mai più riusciti a restare lontani l’uno dall’altro.
Jacob allungò il braccio alla sua destra avvolgendolo attorno alla vita di Nessie, si voltò e la vide sorridere all’immagine davanti a lei, lontano dalla riva.
«Allora ci sei riuscito, Cupido.» Lui avvicinò le labbra alla sulla tempia per lasciarle un tenero bacio.
«Adesso dipende tutto da loro, ma sono sicuro che siano nati per stare insieme.»
Intrecciarono le dita scambiandosi un tenero bacio, prima di allontanarsi mano nella mano dalla spiaggia.
Sarebbero tornati.
Quella stessa spiaggia avrebbe visto i cambiamenti delle vite di tutti loro. Sarebbe stata testimone delle dichiarazioni d’amore delle due coppie, come delle proposte di matrimonio di due uomini impacciati ma profondamente innamorati delle rispettive compagne. E avrebbe visto, a distanza di cinque anni, un Edward molto meno tronfio sorridere felice a un bambino dagli occhi verdi e i capelli castani che gli lanciava una palla, senza mai stancarsi di rimandarla indietro e la sua bella moglie che li guardava estasiata mentre una delle sue mani accarezzava il ventre, arrotondato per la seconda volta.  

mercoledì 5 agosto 2015

TUTTO SCORRE





Tutto scorre


Tutto è perfetto, il pubblico in religioso silenzio segue ogni nostro movimento, ogni nostra figura, ogni nostro volteggio... Tutto è perfetto... poi... tutto cambia, non è più perfetto... nulla è perfetto e intorno solo il buio...

*****

“Signorina Swan, Signorina Swan!” urla l'uomo in tenuta azzurra correndo dietro la sedia a rotelle “Signorina Swan... la smetta di correre nei corridoi con quella sedia. Dobbiamo fare la terapia!”
“Terapia? Non capisco proprio di cosa stia parlando.”
“Signorina Swan, la prego...”
“Si pregano i Santi e io di sicuro non lo sono.”
“Per favore, mi segua.”
“Non credo proprio!”
“Signorina Swannnnnnnn!”
“Domani, domani farò terapia.”
“Il suo domani non arriva mai!”
“Esatto... appunto... il mio domani non arriva... non arriva più.”

*****

Da un mese a questa parte sono spettatore di questa scena quotidiana. Non c'è più pace nei corridoi del centro. Puntualmente alle sedici, ci si può rimettere l'orologio, il terapista di turno si vede costretto a rincorrere la Swan per portarla a fare terapia. Puntualmente lei non la fa. È ora che prenda in mano la situazione, devo parlare con mio padre e con il suo.

*****

“Signor Swan, deve lasciarci carta bianca. Ha visto in che stato si trova sua figlia.” l'uomo seduto davanti a mio padre non emette fiato.
“Sicuramente la sua lesione è importante ma non così tale da non farla camminare. Dobbiamo lavorare anche mentalmente non solo fisicamente con Isabella. Io e i miei collaboratori abbiamo studiato il caso e fisicamente non c'è nulla che impedisca a sua figlia di riprendersi: si sta lasciando andare. Noi non vogliamo questo... vero?”
“No! Certo che no. Ma lasciarla qui, da sola, per non so quanto tempo...”
“Signor Swan,” intervengo “con sua figlia ci vogliono... diciamo le maniere forti. Se lei è presente e pronto a consolarla ogni volta... non risolveremo molto.”
“Da quando Isabella è entrata nel nostro centro,” interviene di nuovo mio padre “non ha fatto un solo giorno di terapia. Così perdiamo solo tempo prezioso.”
“Umpf... avete ragione. Torno a casa oggi stesso. Posso... posso salutarla?”
“Certamente e può venire a trovarla... più in là.”
“Bene.”

*****

Ovviamente anche oggi non si è ancora presentata... è ora di cambiare registro... mi dirigo verso la sua camera e come sempre lei è sulla sua sedia a rotelle. In un primo momento potrebbe sembrare intenta a guardare fuori dalla finestra ma così non è, il suo sguardo è perso nel vuoto, rincorrendo chissà quale pensiero.
“Signorina Swan, permetta che mi presenti, sono Edward Cullen... il suo nuovo terapista.” niente, neanche un battito di ciglia. Okay... mi avvicino, afferro la sedia ed esco dalla stanza.
“Ehi, ma cosa fa?” cerca di riprendere il controllo della sedia, ma non riesce.
“Oh ma allora è dotata di voce. Fantastico, almeno per comunicare non avremo problemi... forse.”
“Si può sapere chi è lei? Anzi no, non mi interessa. Mi riporti subito nella mia camera!”
“Come le dicevo... sono Edward Cullen, il suo nuovo terapista.”
“Ho detto che non mi interessa. Mi riporti in camera!”
“Forse le è sfuggito l'orario, ma la sua terapia doveva iniziare venti minuti fa.”
“Forse le è sfuggito che non ho mai fatto ne farò mai terapia. Mi. Riporti. In. Camera!”
“La sua terapia inizia tutti i giorni alle sedici ed è pregata di presentarsi direttamente...”
“Non. Mi. Interessa. Mi. Riporti. In. Camera. Mah... dove mi sta portando?”
“... in piscina!” la butto in acqua ed è così ancorata alla sua amata sedia a rotelle, che fanno un tuffo unico.
“Koff... koff... ma è pazzo... koff... mi aiuti...”
“Certamente. Tenga chiusa la bocca, respiri con il naso e... batta i piedi.”
“Koff... mi aiu... koff... ti... koff”
“Si può aggrappare lì.” le indico i maniglioni posti alla parete della vasca.
“Ba... koff... star... koff koff... do... koff”
“No, mi chiamo Cullen, Edward Cullen e sono il suo nuovo terapista.”
Mentre recupero la sedia con la coda dell'occhio controllo Isabella, riesce ad aggrapparsi ad un maniglione, entrambi emettiamo un sospiro di sollievo senza farci notare dall'altro.
Porto la sedia vicino alla scaletta per uscire dall'acqua e lentamente inizio ad asciugarla, sempre facendo finta di non curarmi di lei.
Dopo aver ripreso fiato, lentamente, maniglione dopo maniglione, raggiunge la scaletta dove trova me.
“Signorina Swan, le è chiaro che non sono come gli altri terapisti? Da domani la voglio puntuale alle sedici in piscina per la nostra terapia che comprende la piscina, la palestra e i massaggi. Per oggi può tornare in camera...quando riuscirà ad uscire!”
“Non mi vorrà lasciare qui... da sola?”
“Se può scorrazzare nei corridoi con la sua sedia per sfuggire alla terapia, ha abbastanza forza nelle braccia per uscire dall'acqua se proprio non vuole usare le gambe.”
“Cullen eh? Il fatto che ha lo stesso cognome del capo del centro non le dà il diritto...”
“Infatti il diritto me lo dà il fatto che sono il suo terapista. Visto che siamo in vena di confidenze... la informo che ho provveduto a farla spostare di camera, la 17... ho pensato che le avrebbe fatto piacere non avere una stanza per disabili...
“Ma come si permette, io...”
“Ovviamente ho anche informato il personale che non avrà più bisogno del loro aiuto per vestirsi o lavarsi. Da stasera in poi potrà consumare i suoi pasti in mensa come tutti i pazienti.”
“Cullen...”
“Swan...”
“Lei non può...”
“Oh si che posso, l'ho fatto e continuerò a farlo finché non si alzerà da quella sedia e passo dopo passo riprenderà a camminare, a...”
“Non. Lo. Dica.”
“Quello è il mio obiettivo e sarà anche il suo, non ci sono altre opzioni disponibili. Prima se lo mette in testa, prima raggiungeremo il risultato.”
“Lei... lei non sa... cosa...”
“Qualsiasi cosa le sia accaduta, è passata... tutto passa, tutto scorre... A domani Swan.”
“Cullen, Cullen...”
La lascio in acqua urlando il mio nome... ce la farò, non mi devo ammorbidire... ce la farà, è una combattente... ce la faremo.
La sera raggiunge la mensa come tutti gli altri, un po' in ritardo ma arriva, non posso far a meno di sorridere quando la vedo, il suo sguardo invece mi fa pensare che commetterebbe volentieri un omicidio... il mio.

*****

Purtroppo la piccola vittoria di ieri sera mi ha dato false speranze.
Sono le sedici, sono in piscina e lei non c'è.
Non mi scoraggio e non demordo.
Vado da lei che ovviamente si “ribella” inutilmente... e rifinisce in piscina come il giorno precedente.
Così trascorre la nostra prima settimana... prima o poi si stancherà di farsi il bagno vestita.
Per il resto è autosufficiente, non si fa più aiutare per vestirsi, per lavarsi, si presenta in mensa alle ore dei pasti ma la terapia no... niente da fare anche se ogni volta muove di più le gambe per raggiungere la scaletta.
Fino a quando, dopo l'ennesimo tuffo in piscina:
“Swan, non è stanca di farsi il bagno vestita?”
“Okay Cullen, ha vinto... Non c'è bisogno di fare quella faccia, ha vinto, da domani iniziamo.”
“Devo crederle Swan?”
“Sì, ci creda...” mi tende la mano che con stupore accolgo nella mia e... mi ritrovo in acqua:
“Koff... koff... ma...”
“Chi la fa l'aspetti Cullen.”
“Koff... non penserà di passarla liscia vero?”
“Dai Cullen... ci...”
Non la faccio finire di parlare che la trascino sott'acqua per un piede, credo di aver esagerato quando vedo che ci mette un po' a tornare in superficie, invece mi ritrovo a mia volta sommerso... di nuovo.
Come due ragazzini cominciamo a schizzarci e ad affogarci fino a quando Isabella non ce la fa veramente più. Si appoggia al mio torace per riprendere fiato e istintivamente le cingo la vita con le mani:
“D'accordo... hai rivinto tu.”
M'incanto a guardarla, l'ho notato subito che era una bella ragazza ma così da vicino...
“Cullen tutto bene?”
“Eh... sì certo... non potrebbe andare meglio, dopo la tua resa incondizionata.”
“Gnegnegne...”
“Beh ma hai lottato con onore.”
Sorridendo continuiamo a guardarci negli occhi e nessuno dei due sembra intenzionato a lasciare la presa sull'altro.
“Almeno oggi mi aiuti ad uscire?”
“Mmmmh... se mi aiuti ad aiutarti.”
La sue labbra si allargano in un magnifico sorriso e accenna un sì con la testa.

*****

Inizia così la nostra collaborazione, nei giorni successivi si fa trovare puntuale in piscina dove finalmente posso iniziare a trattarle la gamba lesa.
In breve riusciamo ad aggiungere alla terapia quotidiana in acqua anche la palestra. Quando Isabella finalmente abbandona la sedia a rotelle passando alle sole grucce, aggiungo anche i massaggi per dare sollievo alla sua schiena, ai suoi muscoli doloranti e contratti per le posture che assume per camminare con le stampelle.
Vederla in piscina, in costume, era già uno spettacolo ma toccarla senza il filtro dell'acqua o dei vestiti è... una tentazione quotidiana, da quando le slaccio il reggiseno, per lasciare libera la schiena, a quando termino il mio lavoro su di lei è un continuo sforzo a non andare oltre per me.
Il suo corpo perfetto, si modella meravigliosamente bene sotto le mie mani.
Inizio spalmando l'olio su tutto il suo corpo che si riempe di brividi e il mio non rimane di certo indifferente.
Inizio a trattare il suo esile collo, scendo alle spalle, proseguo sulla schiena, le mie grandi mani arrivano anche dove non dovrebbero arrivare e se in altre circostanze avrei fatto più attenzione, in questo caso non me ne curo. Lavorando schiena e fianco, riesco a sfiorare lateralmente i seni schiacciati sul lettino. La sua pelle s'increspa e la mia erezione cresce. Quando arrivo al suo fondo schiena coperto dagli slip, il mio autocontrollo viene messo a dura prova. Ma non è nulla a confronto di quando inizio a lavorarle coscia e interno coscia, perché le mie lunghe dita sfiorano le labbra intime. Il suo corpo ancora una volta reagisce, a volte rilascia dei sospiri, non le chiedo se va tutto bene... non voglio rompere questa armonia che si rinnova giorno dopo giorno.
Quando terminiamo, ogni volta si siede sul lettino coprendosi il seno con l'asciugamano, si scioglie i capelli che le ricadono fluenti sulle spalle, puntualmente la mia erezione ha un impennata a questa visione. Lei ha sempre quest'aria da post orgasmo mentre io sono sempre più carico e pronto ad esplodere, con la voglia di entrare dentro di lei, di farla godere veramente, di sentire chiamare il mio nome mentre raggiunge l'apice del piacere.
Entrambi usciamo stremati dall'ora del massaggio, veramente sembra che facciamo sesso e invece... niente, giustamente.
Il tempo passa, Isabella migliora di giorno in giorno. Accetta anche di aggiungere alla terapia che già fa, un incontro settimanale con uno psicologo. Il che l'aiuta sempre di più e anche fisicamente si vedono i risultati: la sua rabbia scompare del tutto, il suo sguardo triste, spento, riprende vita rendendola ancora più bella ai miei occhi e ai miei “sensi”.
Non solo il nostro rapporto paziente/terapista migliora, anche quello personale. Da quando mi ha buttato in piscina ci diamo del tu ma continuiamo a chiamarci per cognome... ci piace farlo.
A volte facciamo delle passeggiate, non lunghissime ma ci godiamo la pace del dopo cena nel parco del centro. E proprio durante una di queste passeggiate mi racconta la sua storia, non che non la conoscessi ma sentirla da lei è un ulteriore passo in avanti.
Stava svolgendo la finale delle selezioni alle Olimpiadi per pattinaggio su ghiaccio a coppie. Lei e Jacob, il suo compagno di ghiaccio e di vita, erano sicuri di vincere, tutti lo erano. Durante le prove avevano deciso di comune accordo di non effettuare una figura in quanto Isabella vedeva in Jacob troppa titubanza nella presa per riportarla a terra ma durante l'esibizione ufficiale lui decide di effettuarla e trovandosi davanti alla variazione di passi, Isabella non ha potuto far altro che seguirlo ritrovandosi poi a terra svenuta per il dolore lancinante e con i crociati della gamba rotti. Oltre al danno fisico subisce anche l'abbandono di Jacob, impegnato a seguire la sua carriera, che per quanto mi riguarda, egoisticamente, è stato meglio così.
Quella sera per la prima volta mi saluta dandomi un bacio sulla guancia, il primo di tanti.
Vedendo i suoi continui miglioramenti decido di farle una sorpresa. Ottenendo il permesso per uscire, un sabato la porto sulla pista da ghiaccio. Isabella mi guarda con i suoi occhioni, dove scorgo un po' di paura, la rassicuro, si fida e l'attimo successivo siamo sulla pista. In un primo momento titubante poi sempre più tranquilla, sempre più sicura fino a quando non si lascia andare completamente e acquista una bellezza a me ancora sconosciuta.
È pronta, ce l'ha fatta. Ha vinto la sua sfida con la dura prova che la vita le ha sottoposto... E devo lasciarla andare...

*****


È il nostro ultimo giorno di terapia. Domani se ne andrà. Siamo nel camerino per il massaggio, entrambi particolarmente silenziosi, più del solito.
Mentre le lavoro l'interno coscia da posizione supina, all'improvviso mi blocca una delle mani. Sorpreso la guardo, senza dire una parola si alza con il busto sedendosi e spostando la mia mano sulla sua intimità.
Swan...” quasi barcollo per lo stupore ma la mia mano rimane dove lei l'ha messa, godendosi quel calore che percepisce.
Cullen...” si avvicina pericolosamente con le labbra alle mie, il desiderio di cedere è forte ma...
No.” mi allontano da lei riprendendo fiato. Noto la sua espressione cambiare:
Scusami... devo aver frainteso i tuoi segnali...” si distende di nuovo.
Isabella non...”
Cullen, finiamo il massaggio per favore.” e il suo tono non ammette repliche.
Quando finisco si alza, si veste e se ne va senza darmi la possibilità di spiegare.
Un coglione... ecco cosa sono.
La sera non la vedo in mensa per la cena quindi decido di portarle in camera un vassoio ma non la trovo neanche lì.
Faccio un giro nel parco, nulla. Decido di passare in piscina ed eccola finalmente.
Il mio sollievo si smorza sul nascere quando mi accorgo che è completamente nuda.
Non si è ancora accorta della mia presenza, mi spoglio completamente anch'io e mi tuffo in acqua palesando la mia presenza.
Riemergendo noto che si è messa all'angolo, dalla parte dove si tocca della piscina, cercando di coprirsi il più possibile ma quando vede che sono io si rilassa:
Cullen...”
Disturbo Swan? Ti stavo cercando.” mi avvicino.
Mi hai trovata. Cosa vuoi?”
Volevo parlare con te, volevo spiegarti perché...”
Non c'è nulla da spiegare... tutto passa... tutto scorre... ora devo andare.” ma le impedisco di spostarsi dall'angolo mettendo le mie mani ai lati della sua testa.
L'uno di fronte l'altra, non possiamo fare a meno di guardarci dapprima negli occhi, poi le labbra, i nostri corpi nudi mascherati dall'acqua e tornare al punto di partenza con il respiro sempre più affannato.
Mi avvicino di più appoggiandole la mia erezione sull'addome e chinandomi al suo orecchio le sussurro roco:
Non dico dal primo giorno ma ogni volta che sto con te... sto così, in perenne erezione. Questi mesi di lavoro con te, sono stati una tortura perché non potevo dare soddisfazione al mio desiderio di te... con te. Ti ho mandato dei segnali e tu... Non. Li. Hai. Fraintesi.” abbandono il suo orecchio per guardarla negli occhi.
Ma oggi...”
Oggi ero ancora il tuo terapista.”
Ohhhh...”
Già.”
Spalmandomi sempre di più su di lei, ritorno a parlarle all'orecchio.
Il fatto che io fossi il tuo terapista... è stata la cosa peggiore e migliore che mi poteva capitare. Peggiore perché non potevo dar sfogo ai miei istinti, migliore perché così ho imparato a conoscerti... ho imparato a leggerti... ho imparato ad apprezzarti e... sì... ho imparato ad amarti.” deposito un bacio nell'incavo del collo “E spero... di non essere io... ad aver frainteso i tuoi segnali... sarei nella merda ora.” la riguardo negli occhi.
Lentamente le sue mani abbandonano il suo seno per posarsi sulle mie spalle, dove con una leggera pressione si aiuta per cingermi i fianchi... ora le nostre intimità sono a contatto e nonostante l'acqua sento il suo calore. Il respiro di entrambi sempre più rotto. Stavolta è lei che si avvicina al mio orecchio.
Mi hai sfiancato... in tutti i sensi. Prima allontanando mio padre... buttandomi ogni santo giorno in piscina, vestita... con la sedia a rotelle... cambiandomi stanza... togliendomi ogni aiuto da parte del personale... Ti ho odiato... Poi ho visto l'uomo che avevo davanti... ogni volta che posi le mani su di me i miei pensieri vanno oltre alle manipolazioni... oltre ai massaggi... mi hai sfiancato.” mi morde leggermente il lobo dell'orecchio.
Swan...”
La tua determinazione ha battuto la mia testardaggine e sono tornata a camminare... a vivere ma quello che provo per te... Cullen... non ha nulla a che vedere con il rapporto paziente/terapista... Non mi sono infatuata del terapista... Mi sono innamorata dell'uomo... al quale oggi ho dato un “chiaro” segnale... non credi?” si scosta di poco per potermi guardare.
Chiaro... molto chiaro... e non sai la fatica che ho dovuto fare per non andare oltre...
ma non potevo... non volevo mischiare i due rapporti...”
Sì... ora ho capito.”
Quindi... possiamo smettere di parlare?”
Oh sì.”
Ancora con le nostre intimità in contatto le faccio appoggiare la schiena alla parete della piscina, con una mano le avvolgo il collo e finalmente le mie labbra si appropriano delle sue. Le nostre lingue cominciano ad esplorare l'altro, con la mano libera prendo la mia erezione e l'indirizzo alla sua entrata, lei mi aiuta sollevandosi di poco, permettendomi così di penetrarla.
Quando sono dentro di lei, il nostro bacio si ferma, i nostri occhi s'incontrano ed esprimono tutta la magia di questo momento.
Poi con un braccio intorno alla vita e con l'altra mano ancorata al bordo vasca, inizio a muovermi dentro di lei, lentamente... come l'acqua del fiume che pigramente scorre nel suo letto.



Fine